Nato a Palermo il 17 aprile del 1946, Ignazio Garsia è una delle figure più autorevoli del jazz italiano contemporaneo. Dopo aver studiato pianoforte classico e conseguito il diploma presso il Conservatorio di Musica di Palermo, debutta agli inizi degli anni Settanta come pianista stabile nell’Orchestra Sinfonica Siciliana. Per il cabaret de “I Travaglini” firma indimenticabili canzoni e ballate come “Un giorno al mare” ,“Vincenzina Terranova”, “8 luglio”, con testi di Salvo Licata, Antonio Marsala e Mauro De Mauro.
È però il jazz a far rilucere il suo talento sin dal 1974, al fianco di Chet Baker, Pepper Adams, Johnny Griffin, Tony Scott, Carla Bley, Charlie Byrd, Irio De Paola, Dino Piana. Questi concerti ne mettono in mostra tecnica sopraffina, squisita ricerca melodica, eclettico stile pianistico. Fondatore nel 1973 della Brass Group Big Band e l’anno successivo dell’associazione musicale “The Brass Group”, Garsia è precursore di una concezione musicale eterogenea, volta a far interagire creativamente il jazz con le altre esperienze musicali del Novecento.
Tale estetica è magistralmente rappresentata dall’Orchestra Jazz Siciliana, che ha elevato a regola l’indeterminatezza delle varie forme del jazz. Ed in più una mirabile capacità policentrica di affrontare vari repertori (jazz, funk, fusion, rock, musica eurocolta) come punto di partenza per soluzioni estemporanee, di grande freschezza improvvisativa. Il musicista palermitano ha spinto all’ennesima potenza questa istanza di ecumenismo musicale nel 1985, quando allestì una duplice tessitura orchestrale classica-jazz per l’armonicista Toots Thielemans.
Tra gli altri suoi fiori progettuali all’occhiello, l’esecuzione in prima europea della suite mingusiana Epitaph (1991) e Porgy And Bess (1996) di George Gershwin. A pensarci bene, c’è un imperdonabile vulnus in questa carriera artistica: l’aver sacrificato le doti musicali per l’attività di animatore culturale. È ancora indelebile nel pubblico palermitano la sua rilettura (1989) della ellingtoniana Queen’s Suite, grazie a una mirabile esecuzione per piano solo del quinto movimento (The Single Petal of a Rose) in chiave impressionistica francese. Una prova superba, paradigmatica di una ricerca pianistica variegata, posta al servizio di un linguaggio post-romantico che scorre parallelo a un solido filo jazzistico. L’interpretazione per solo pianoforte di The Star Crossed Lovers dimostra come nel caso di Garsia la partitura non diviene un mero cimelio da museo, ma pagina viva e palpitante: un mirabile rimando alla natura inclusiva del jazz, nonché alla sua capacità di ridare nuove veste a codici allogeni. Il tutto alimentato da nitidezza di tocco, senso della misura e magistrale swing che si ritrova soprattutto nei suoi concerti con Chet Baker e Gianni Cavallaro a Palermo nel 1976. La loro rivisitazione di “All The Things You Are”, contenuta nel primo volume della collana editoriale “I grandi concerti The Brass Group” curata dallo scrivente, è una lezione di classe, lirismo e tensione emotiva. Un concentrato di raffinatezza armonica e tecnica sopraffina, che riassume l’essenza del jazz: swing e capacità di regalare profonde emozioni, attraverso l’attimo fuggente di ammalianti giochi improvvisativi. Tra i suoi arrangiamenti orchestrali per l’OJS, svetta “How Far Can You Fly?”del pianista Luca Flores: un gioiello di trasognata poesia e adamantina bellezza, che infonde una nuova luce all’astratto brano rivisitato.
Oggi è in auge il jazz da camera, che rivitalizza la musica afroamericana con innesti eurocolti. È una pratica musicale già esercitata con successo da Garsia fin dagli anni Ottanta attraverso la sua duplice anima musicale, che da un lato guarda alla lezione storica di Debussy e dall’altra a quella evansiana, debitamente riattualizzata con il linguaggio jazzistico contemporaneo.
Non meno importante è la sua attività di docenza nei conservatori statali di musica, alla quale almeno due generazioni di jazzisti devono un’impagabile formazione enciclopedica, che pone un genuino spirito di ricerca al centro di una frastagliata espressività, attenta a ogni aspetto della musica contemporanea.
Come direttore artistico della fondazione The Brass Group, egli ha contribuito in modo determinante alla valorizzazione in Sicilia della cultura jazzistica, sin dai primi concerti nella storica sede di Via Duca della Verdura, a Palermo.Un piccolo scantinato, illuminato dal genio dei principali protagonisti del jazz moderno. Qui del jazz si assaporava la duplice dimensione estetica e umana legata a note musicali e storie di vita vissuta, quando ancora i musicisti non erano fagocitati dallo star-system, volando come schegge impazzite in svariati luoghi del mondo in pochi giorni.
Grazie a lui, il Brass Group ha così portato alla ribalta nell’Isola le policrome nuances di una musica che ha elaborato forme nuove di condotta ritmica, armonica, melodica e perfino di comportamento: multiculturalismo, cosmopolitismo, relativismo culturale.
Attraverso concerti, seminari e la formazione di una scuola di musica, si intendeva sottolineare quanto l’estetica jazzistica abbia contribuito alla creazione di nuovi generi musicali come il rhythm & blues e il rock fino alle forme più recenti di world music. Tale lungimirante politica culturale è stata sempre realizzata all’insegna della trasversalità stilistica, coprendo uno spettro espressivo a trecentosessanta gradi dell’estetica musicale afroamericana: free-jazz, grandi orchestre, jazz tradizionale e mainstream, blues, samba-jazz. In primo piano una musica che non conosce confini, per rappresentare la società globalizzata, in un crogiuolo affascinante di intrecci e confluenze.
Nei cartelloni del The Brass Group si ritrovano i più acclamati solisti del jazz moderno: Miles Davis, Charles Mingus, Dizzy Gillespie, Dexter Gordon, Max Roach, Art Blakey e Woody Shaw, solo per citarne alcuni. Di grande valore è altresì la documentazione del jazz italiano (Giorgio Gaslini, Enrico Rava, Paolo Fresu, Franco D’Andrea, Enrico Pieranunzi, Massimo Urbani) e siciliano (Gianni Cavallaro ed Enzo Randisi).
Vi prevale l’idea di jazz quale categoria musicale policentrica, che dialoga con il mondo eurocolto e che include al suo interno tradizioni, razze e sensibilità diverse. Per Garsia, l’essenza del jazz non si trova in ogni suo singolo stile, bensì in un unicum che unisce King Oliver e Duke Ellington all’Art Ensemble Of Chicago e Anthony Braxton.
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